Strumento di crescita, generatore di valore e pilastro della cultura del riscontro: il feedback divide il mondo HR e, più in generale, quello aziendale tra chi è a fortemente a favore e chi lo reputa superato. Constatazioni che hanno origine dall’utilizzo pratico che ne si fa da decenni in ambito organizzativo.
Il feedback per alcuni rappresenta un valido spunto per migliorare che, se comunicato nel modo giusto, può esaltare il valore professionale dell’individuo e generare apprezzamento; mentre, se comunicato in modo errato, può portare a un peggioramento della performance e della relazione tra colleghi.
Non è sicuramente privo di costi, soprattutto a livello emotivo, in quanto pone sia il mittente che il destinatario in una posizione di vulnerabilità. Per questo, è una pratica che spesso viene imposta e che, quindi, raramente ha luogo in modo spontaneo. Questo anche perché l’essere umano non è naturalmente propenso a un’adozione periodica e costante del feedback. Per poter guardare a questo strumento come a una fonte di benessere collettivo, forse sarebbe necessario un cambio di prospettiva: una soluzione potrebbe essere una vera programmazione, che stabilisca dei momenti precisi in cui metterlo in pratica, per andare poi a dimostrarne gli effetti positivi e i benefici nel tempo.
Perché dare o ricevere feedback genera così tanto scetticismo, soprattutto nell’atto pratico? Probabilmente perché dal punto di vista culturale associamo un’accezione negativa al concetto neutro di feedback. Ma, in quanto esseri umani che lavorano a contatto con altri esseri umani, allo stesso tempo le persone sono naturalmente inclini a cercare l’approvazione dell’altro o, quantomeno, cercare di capire ciò che pensa.
Nel mondo lavorativo di oggi, in cui la domanda supera l’offerta, il feedback riveste un ruolo centrale in quanto le organizzazioni si mettono continuamente in gioco nella ricerca dei talenti, a cui si vuole offrire la migliore esperienza possibile, affinché in un secondo momento gli stessi employee possano trasmettere questa tale esperienza positiva anche ai clienti. Pertanto, il feedback può essere visto come una questione di generosità, che è l’unico motore vero dell’azione: c’è una vera cultura del feedback, quando c’è la stringente necessità di essere generosi gli uni con gli altri.
Alla generosità, si aggiunge il tema della curiosità: secondo molti, una curiosità personale ed egoistica del voler sapere e imparare continuamente è ciò che spinge verso il feedback. Generosità e curiosità potrebbero, quindi, essere due elementi utili ad allontanare la visione obsoleta del feedback come un processo aziendale fisso e a cadenza annuale, imposto e gestito dall’HR. Ma da dove partire? Per esempio, dal line manager o dal singolo employee che, mosso appunto dalla curiosità, riesce a mettere insieme nuovi punti di vista.
Il feedback come dono: è la visione che molti professionisti HR condividono. Mentre alcuni sostengono che il feedback funziona soltanto in presenza di sincerità, generosità e amore e che queste caratteristiche possono trasformare anche i processi meno performanti in generatori di nuovi talenti, altri ne sottolineano l’aspetto utilitaristico, ovvero il feedback funziona soltanto se effettivamente aggiunge valore. Entrambe le scuole di pensiero convengono, quindi, che è un’occasione in cui sia ha la possibilità di aggiungere valore a un’altra persona, soltanto se davvero interessati alla sua e alla propria crescita personale e professionale e soltanto se tale feedback è voluto dal destinatario, altrimenti rischia di essere ignorato.
Infine, cosa succederebbe se il feedback diventasse una recensione pubblica della performance dei colleghi alla fine di ogni progetto? Questo è uno nuovo spunto che si sta facendo strada in alcune organizzazioni e che accosta il concetto di feedback a quello di recensione, o endorsement, da rendere pubblico a livello aziendale sul modo in cui lavora un collega o sulle sue skill, dopo aver condiviso insieme un progetto. Ciò permetterebbe ai colleghi con cui l’empolyee collaborerà in futuro di conoscere meglio i propri collaboratori.
Una delle obiezioni che si potrebbe fare a questa proposta è quella della mancanza di sicurezza psicologica. Guardando al feedback come a una recensione o endorsement, bisogna tener conto che il destinatario è una persona con cui si ha a che fare regolarmente sul posto di lavoro, a differenza magari di un ristorante in cui si può semplicemente non andare più dopo una recensione negativa. Bisognerebbe, quindi, concentrarsi sulla fase preparatoria e sulla capacità di sapere reggere il carico emotivo di un feedback, prima di pensare a come e quando elargirlo.
In sintesi: nonostante la sua spesso sottovalutata applicazione, il feedback è uno strumento, nel bene o nel male, necessario, senza il quale si è fuori dal mercato del lavoro. Alla base devono esserci elementi imprescindibili quali fiducia, sincerità e generosità, altrimenti si rischia di ottenere effetti dirompenti, fino a rischiare di far andare via persone valide e competenti.
I temi presenti nell’articolo sono tratti dall’HRD Square – La web radio dei Direttori HR. Clicca qui e dai un’occhiata agli interventi degli speaker partecipanti.
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