Stare bene al lavoro fa bene al lavoro e crea valore per l’azienda. Mai come oggi il mondo del lavoro è al centro di fenomeni di disaffezione: dal quiet quitting alle grandi dimissioni, fino al job hopping, ovvero la tendenza al cambiamento continuo, particolarmente diffusa tra i lavoratori più giovani. E sempre più spesso queste dinamiche spingono le aziende a interrogarsi su quali possano essere gli strumenti più efficaci nel contrastarle.
In questo contesto, il benessere organizzativo non rappresenta solo un valore, ma una leva strategica per le aziende che vogliono rimanere competitive e profittevoli sul mercato. Lo dimostra lo studio “Benessere e Produttività: i benefici economici del Corporate Wellbeing e i costi del “non fare” per le aziende” realizzato da JOINTLY, B Corp italiana che accompagna le aziende nel disegnare soluzioni innovative per il benessere organizzativo, insieme a The European House – Ambrosetti.
L’abbattimento del costo del turnover
Un dato significativo emerso dalla ricerca riguarda, infatti, l’effetto benefico del Corporate Wellbeing sull’abbattimento del turnover, che comporta non pochi aggravi per le aziende. Considerando i costi diretti di assunzione e formazione e quelli indiretti, come il rallentamento della produttività, seppure temporaneo, tipico della fase di onboarding, la ricerca ha calcolato che una dimissione ha un costo medio per l’azienda pari a circa il 50% della RAL del dipendente che lascia.
Considerando un valore medio di RAL a livello nazionale, il costo di ogni dimissione si aggira tra gli 11.000 e 13.000 euro.
Agire, quindi, sulla capacità di retention, ovvero di trattenere i talenti tramite attente strategie di Corporate Wellbeing, potrebbe consentire alle aziende di ridurre il costo del turnover con un beneficio complessivo di circa il 16% sul costo annuo del personale.
L’incremento della produttività
Non solo sul contenimento dei costi, il Corporate Wellbeing è in grado di apportare benefici anche in termini di maggior engagement e produttività dei collaboratori.
In particolare, dalle analisi svolte è stato rilevato che l’adozione di politiche di Corporate Wellbeing può portare a un incremento del 14% di produttività rispetto alla media nazionale, che si tradurrebbe in un incremento differenziale del 20% del valore aggiunto per occupato per le aziende che adottano misure di Corporate Wellbeing rispetto a quelle che non le adottano.
I vantaggi fiscali
Una strategia di Corporate Wellbeing non solo aumenta la produttività degli addetti, riducendo i costi del turnover, ma consente anche di rendere più efficiente il costo del lavoro. Un obiettivo che diventa raggiungibile facendo leva sul beneficio fiscale aggiuntivo e sull’effetto moltiplicatore generato da questo tipo di misure, cioè il reale valore creato per il dipendente a fronte della spesa effettuata dall’azienda.
Rispetto al semplice supporto reddituale dei benefit economici, il ricorso a servizi e soluzioni di Corporate Wellbeing che possano rispondere ai bisogni dei collaboratori in termini di assistenza alla famiglia, supporto al lavoro, istruzione e cultura, salute psico-fisica, non solo contribuisce al loro benessere, ma diventa anche un importante moltiplicatore economico per l’azienda.
Grazie, infatti, al potere negoziale dell’azienda e alla possibilità di attivare meccanismi mutualistici, lo studio TEHA Group – JOINTLY calcola ad esempio che, a fronte di una spesa media dell’azienda in Corporate Wellbeing di 2.500 Euro pro capite, viene abilitato nel complesso un valore reale per il dipendente pari a oltre 11.000 Euro con un “moltiplicatore” di 4,5 volte.
Abbattimento dei costi del turnover, incremento dell’indice di produttività ed efficientamento del costo del lavoro diventano quindi tre elementi fondamentali del valore del Corporate Wellbeing e di tutte quelle iniziative che le aziende possono mettere in campo per favorire il benessere delle proprie persone.