Cosa sta succedendo in questo momento all’interno delle organizzazioni in relazione alla trasformazione digitale che porta tutti a fare i conti con i nuovi sistemi di Intelligenza Artificiale e i nuovi linguaggi digitali? Che il futuro del lavoro sia stato e sia in continua evoluzione è ormai un dato più che assodato, parte integrante di qualsiasi analisi organizzativa o lettura di dati di mercato, in quanto frutto di cambiamenti che impattano in modo estremamente rilevante sulle strategie d’impresa. Ma quanto rapidamente questa evoluzione impatti sulla digital identity di ognuno di noi forse ancora ancora ci sorprende.
Sono stata recentemente di ritorno da un bellissimo appuntamento annuale organizzato da IDC, titolo “Future of Work Xchange”, che si è tenuto a Malaga lo scorso aprile, dove insieme a leader IT e HR provenienti da tutto il mondo ci siamo interrogati sul futuro e sull’integrazione dell’AI nelle prassi organizzative, sia strategiche che più strettamente operative.
Due, tra i tantissimi stimoli diversi, gli elementi ricorrenti:
1. La necessità, sentita da entrambe le parti, di co-costruire insieme tra IT e HR qualsiasi intervento o piattaforma digital da inserire in azienda;
2. La centralità del digital mindset, inteso come la complessiva abilità della persona di saper interagire, di sapersi adattare e di saper dialogare con strumenti e contesti digital.
Un nuovo approccio da parte delle organizzazioni nell’adoption delle “AI skill” sembra, dunque, passare attraverso questi due elementi: lo sviluppo e il supporto dell’espressione del digital mindset di ognuno di noi da un lato, e dall’altro un costante dialogo tra funzioni IT e HR che renda tutto questo non solo possibile, ma una realtà facilmente alla portata di tutti.
DIGITAL MINDSET COME PALESTRA DI COMPETENZE INNATE E VIRTUOSE
Nei nostri progetti di assessment svolti negli ultimi anni abbiamo avuto modo di analizzare le caratteristiche che ci rendono “più digital”, e che quindi sviluppano meglio il nostro digital mindset. Abbiamo avuto modo di constatare che tali predisposizioni o attitudini sono innate in ognuno di noi, e non richiedono dunque nessun digital o data acumen. Per dirla in altre parole, non sono appannaggio solo di chi ha costruito e sviluppato il proprio background STEM o come Data Scientist. Proprio da chi noi ha intrapreso studi e carriere in ambito tech abbiamo imparato che alla base del digital mindset si trovano competenze preziosissime, che tutti possiamo imparare e possiamo attivare all’istante quando necessario.
Mi riferisco alla capacità di ascoltare non solo le parole della persona che si ha di fronte ma anche i feedback che ci manda la macchina, allo sviluppo di una certa dose di pazienza nel provare e riprovare quando la soluzione sembra non funzionare subito, alla capacità di adeguare il proprio linguaggio digitale alla macchina in funzione di come lei è fatta e non di come io voglio che sia e alla capacità di fare peering, ovvero di collaborare aiutandosi a vicenda. Da questo punto di vista, il digital mindset rappresenta una palestra ideale per allenare competenze che molti di noi possiedono già, ma servono gli stimoli giusti per farlo e vincere le proprie paure.
Se da un lato infatti molti lavoratori ancora percepiscono l’AI come un potenziale competitor che sottrarrà loro posti di lavoro, la ricerca di IDC mostra che il 66% dei dipendenti europei crede che l’IA migliorerà significativamente la loro esperienza lavorativa e che la funzione HR è tra le prime ad adottare la cosiddetta Generative AI per una migliore gestione delle performance, per l’analisi della forza lavoro, per lo sviluppo dei percorsi di carriera, nonché per l’acquisizione di nuovi talenti e la gestione della candidate experience. Nelle progettualità che abbiamo gestito negli ultimi tempi e nel dialogo con le organizzazioni abbiamo potuto riscontrare i primi segni tangibili della evoluzione digitale in atto.
NEIL HARBISSON: UN ESEMPIO DI DIGITAL MINDSET
A tal riguardo, permettetemi di condividere con voi un incontro davvero speciale che chi di noi era a Malaga ha potuto fare: la conoscenza di Neil Harbisson, oggi conosciuto come il primo “Cyborg” riconosciuto – con tanto di foto sul passaporto – grazie all’impianto nelle ossa craniche di una antenna che gli ha permesso di espandere le proprie capacità fisiologiche. Non poteva vedere i colori dalla nascita, ma oggi questo impianto, chiamato “Eyeborg”, trasforma le frequenze della luce in suoni, consentendogli di “ascoltare” i colori, inclusi quelli invisibili all’occhio umano come i colori ultravioletti o quelli ad infrarossi.
Neil Harbisson, pioniere garbato e con una altissima sensibilità per tutti i temi legati alla sostenibilità, all’inclusione e allo sviluppo tecnologico, ci mostra con la propria esistenza quando la convivenza con tecnologie evolute possa addirittura diventare parte di noi. Oltre a sollevare implicazioni di tipo etico-filosofico rispetto ad un futuro in cui la fusione tra l’organismo biologico e lo strumento tecnologico diventa sempre più profonda, ci spinge a riflettere su come possiamo utilizzare davvero queste innovazioni per migliorare la qualità della nostra vita e della nostra società.
L’IMPORTANZA DI INVESTIRE NELLO SVILUPPO DEL DIGITAL MINDSET
Investire nello sviluppo delle competenze digitali e nella formazione continua di un digital mindset stabile e allenato ad affrontare situazioni diverse non aumenta solo la competitività e l’efficienza, ma prepara anche le persone e le aziende ad affrontare un futuro che si preannuncia complesso, capace di accelerazioni che ancora non possiamo presagire e di schemi di interazione che si configureranno secondo modalità che oggi ancora non esistono. Secondo IDC, le organizzazioni che abbracciano in modo sistematico e consapevole lo sviluppo del digital mindset ottengono risultati significativamente migliori: queste aziende hanno una probabilità del 70% maggiore di superare i loro obiettivi di business rispetto a quelle che non lo fanno e arrivano a riportare un aumento della produttività del 20% e una riduzione dei costi operativi del 30%.
La tecnologia quindi, se utilizzata correttamente, non è solo uno strumento, ma un potente alleato per espandere le nostre capacità e migliorare la nostra vita. Le organizzazioni che abbracciano questa mentalità non solo ottengono risultati migliori, ma sono anche più resilienti e adattabili ai cambiamenti, creando un futuro del lavoro veramente a misura d’uomo.
Articolo a cura di Barbara Rizzo, IDC Board Member, Associate Partner| Head of Assessment Architecture & People Metrics di Glasford International Italy, che opera ogni giorno per accompagnare le imprese verso il raggiungimento degli obiettivi strategici prefissati attraverso la valorizzazione del Capitale Umano.