Immaginate di svegliarvi domani e scoprire che il mondo del lavoro è cambiato radicalmente. Non gradualmente, ma all’improvviso.
Non più job title rigidi, non più processi di selezione basati su curriculum preconfezionati, non più decisioni lasciate esclusivamente all’intuito umano. Ora le organizzazioni funzionano su modelli skill-based, l’AI non è più uno strumento ma un vero e proprio collega, e il concetto di leadership è stato ridefinito dalla necessità di guidare team ibridi composti da persone e intelligenza artificiale.
Questo scenario non è fantascienza, ma la traiettoria su cui ci stiamo muovendo, ed è proprio su questa trasformazione che si è concentrato l’HRC Barcamp 2025. Un appuntamento con la Community che non si è limitato a raccontare il futuro, ma lo ha messo sotto la lente d’ingrandimento, smontandolo pezzo per pezzo per capire come affrontarlo al meglio. Tra visioni dirompenti, casi concreti e dibattiti accesi, i professionisti HR si sono trovati davanti a una domanda inevitabile: siamo pronti a governare il cambiamento o rischiamo di subirlo?
La sessione plenaria si è aperta con l’intervento di Silvia Cassano di Vodafone, che ha introdotto il tema della trasformazione digitale nelle organizzazioni e il ruolo delle HR nell’accompagnare questo cambiamento.
Subito dopo, con lo speech ispirazionale di David Orban, leader di pensiero nel panorama tecnologico globale, si è sottolineato come l’innovazione non segua un andamento lineare ma sia in costante accelerazione. Così come Internet è passato dall’essere una tecnologia di nicchia a un’infrastruttura indispensabile, l’AI sta rapidamente diventando parte integrante della nostra vita e del mondo del lavoro. Il futuro delle HR non potrà prescindere dall’integrazione con gli AI Agents, sistemi intelligenti capaci di prendere decisioni e gestire processi in autonomia. Questo scenario impone alle aziende di ripensare i propri modelli organizzativi, sviluppando nuove strategie di workforce planning e adottando un approccio basato sulla misurazione dell’impatto dell’AI sulle performance lavorative.
Uno degli argomenti più centrali è stato quello della skill-based organization, approfondito nella sessione guidata da Gianfranco Chimirri di SACE e Kai Anderson. Il modello tradizionale basato sulle job architecture sta lasciando spazio a una nuova organizzazione del lavoro, incentrata sulle competenze piuttosto che sui ruoli. Anderson ha illustrato il caso di un’importante compagnia assicurativa che, trovandosi a corto di data analyst, ha ridisegnato il proprio organigramma in funzione delle competenze disponibili, creando un pool di talenti anziché assegnare rigidamente le persone a specifiche business unit. Questa trasformazione ha permesso un utilizzo più flessibile delle risorse e un incremento della produttività grazie alla combinazione di AI e reskilling. Chimirri ha evidenziato come questa evoluzione non riguardi solo i profili altamente specializzati, ma possa estendersi a tutti i livelli aziendali, con un impatto positivo sulla retention e sullo sviluppo professionale.
Il dibattito si è poi spostato sulla Generative AI nella sessione con Francesca Morichini di Amplifon, Stefano Stafisso di Danieli, Gianfranco Minutolo e Fabrizio Rotondi di Workday. La GenAI sta rivoluzionando il modo in cui le aziende producono contenuti, analizzano dati e prendono decisioni, ma il confine tra promesse e realtà è ancora labile. Se da un lato le applicazioni basate su modelli di linguaggio avanzati come ChatGPT stanno dimostrando capacità straordinarie nell’ottimizzazione dei processi, dall’altro emergono sfide legate alla qualità dei dati e alla gestione dei bias. L’AI non è infallibile e, se utilizzata senza supervisione umana, può amplificare errori e pregiudizi presenti nei dataset con cui viene addestrata. La chiave per un’implementazione efficace risiede in una combinazione tra intelligenza artificiale e intelligenza umana, con HR sempre più coinvolti nel definire linee guida e strategie di governance per garantire un uso etico e produttivo di queste tecnologie.
La diversità di genere nell’intelligenza artificiale è stata al centro della sessione “AI, non solo maschile e singolare!“, a cui hanno partecipato Amelia Parente di Diasorin Group, Carloandrea Gadda di Quint, Gioia Ferrario di Jakala e Veronica Paternolli. Il panel ha messo in evidenza come il settore tecnologico sia ancora caratterizzato da un forte squilibrio di genere, con una sotto rappresentanza femminile nei ruoli tecnici e decisionali. Il problema non è solo numerico, ma riguarda anche la qualità dei dati utilizzati per addestrare gli algoritmi, che spesso riflettono e amplificano stereotipi preesistenti. Se i modelli di AI vengono sviluppati principalmente da team maschili, il rischio è che riproducano visioni parziali del mondo. È fondamentale promuovere una maggiore inclusione, sia attraverso politiche di assunzione più equilibrate, sia incentivando le giovani donne a intraprendere percorsi formativi nel campo delle STEM.
Darya Majidi, CEO Daxo Group e Founder di Donne 4.0, ha offerto un’importante riflessione sul rapporto tra intelligenza umana e artificiale. Ha evidenziato come il nostro cervello sia in costante evoluzione, esattamente come i modelli di AI che apprendono dai dati. Tuttavia, a differenza delle macchine, gli esseri umani sono guidati da emozioni, valori ed etica. Ha sottolineato l’importanza della qualità del dato e il pericolo di una società in cui le decisioni vengono delegate interamente agli algoritmi senza un’adeguata supervisione umana. Ha poi posto l’attenzione sulla necessità di un’educazione digitale consapevole, affinché tutti possano comprendere il funzionamento delle nuove tecnologie e utilizzarle in modo critico.
L’ultima sessione, con focus su ecosistemi, imprese e startup, ha affrontato il tema degli ecosistemi di innovazione, con il contributo di Alberto Valenza di Aeroporti di Roma, Antonella Zullo di Zest Innovation, Simone Pepino di StartupItalia e Hoopygang e Francesca Saule di BAT. È emerso che le aziende non possono più operare in isolamento, ma devono aprirsi a collaborazioni con startup, università e istituzioni per rimanere competitive. Il modello dell’open innovation sta prendendo sempre più piede, con programmi di corporate venture capital e acceleratori di startup che permettono alle grandi imprese di integrare rapidamente nuove tecnologie.
L’HRC Barcamp 2025 ha ribadito che il futuro delle HR sarà sempre più interconnesso con la tecnologia, ma il fattore umano resterà centrale. La sfida per i professionisti del settore sarà quella di guidare questa trasformazione in modo consapevole, garantendo che l’innovazione sia al servizio delle persone e non viceversa. La strada è tracciata e il momento di agire è adesso.