Nel mondo del lavoro in Italia, la transizione da professionista a manager non è sempre semplice: rappresenta un passo molto importante non scevro da incognite, problemi, momenti di crisi. Non si tratta solo di un avanzamento di carriera, ma di una vera e propria trasformazione sia a livello professionale, ovviamente, che anche e soprattutto a livello personale.
Vediamo in questo articolo cosa significhi nel concreto questo passaggio di ruolo, cosa comporta, quali sono le competenze necessarie e come affrontare al meglio tale cambiamento.
Il panorama italiano dei manager
Secondo l’Osservatorio sul Terziario di ManagerItalia (Luglio 2023), con focus proprio su managerialità e imprese, i manager italiani sono una categoria occupazionale che corrisponde a circa il 3,6% del totale degli occupati nel 2021, al di sotto di altri principali paesi europei come Spagna (4,1%), Germania (4,2%) e quasi la metà della Francia (6,8%).
Per quanto riguarda l’età, il 53% dei manager supera i 50 anni – età media simile alla Germania, ma più alta rispetto a Francia e Spagna (circa il 45% over 50). Una frazione dei manager italiani (meno del 10%) è composta da over 65.
Un altro aspetto importante riguarda il gender gap. Sebbene le donne diventino manager mediamente prima degli uomini, per loro è molto più complesso mantenere l’incarico dirigenziale. E questo è dovuto al carico mentale che aumenta considerevolmente quando le donne diventano madri o quando diventano caregiver di genitori o dei figli stessi.
Chi sono i professionisti oggi e cosa cambia quando diventano manager?
Definito il panorama, è essenziale chiarire cosa si intenda con la parola “professionista” nel contesto del salto di carriera. Un professionista è una persona con vasta esperienza nel proprio campo, che ha ricoperto diversi ruoli nel corso degli anni, acquisendo competenze tecniche e soft skill. Contrariamente a quanto si crede, un professionista non deve necessariamente essere iscritto a un albo o appartenere a un ordine professionale.
Ciò che rende un professionista tale non è l’iscrizione all’albo (seppur obbligatorio per alcune professioni e non esistente per altre), ma è l’approccio al lavoro, l’interazione con i collaboratori e la serietà nel garantire i propri servizi. Un vero professionista agisce con correttezza, serietà e trasparenza, ed è capace di dire “no” quando non ci sono le condizioni per proseguire con un cliente o quando il proprio lavoro non è adeguatamente remunerato.
Quando i professionisti diventano manager, il loro ruolo cambia significativamente. Non si tratta solo di un avanzamento di carriera, ma di un cambiamento nella natura delle responsabilità. Un/a manager non deve solo eccellere nelle proprie competenze tecniche, ma deve anche saper guidare, motivare e indirizzare un team verso il raggiungimento degli obiettivi aziendali. La capacità decisionale diventa cruciale, così come l’abilità di comunicare efficacemente e di prendere decisioni strategiche che influenzano l’intera organizzazione. Pertanto, il salto verso una posizione manageriale richiede una comprensione profonda del nuovo ruolo e delle competenze necessarie per incarnarlo al meglio.
L’importanza delle motivazioni e l’aiuto del business coaching
Sebbene un tale passaggio di ruolo possa sembrare allettante, non per tutti è la strada giusta e, anche quando lo è, si tratta comunque di un processo non semplice. Si può amare il proprio lavoro, essere bravi nel farlo, ma accorgersi che, quando si ricopre un ruolo da manager, non tutto è come prima. Molte persone, infatti, non si reputano adatte a gestirne altre o lo scoprono nel momento in cui si ritrovano a farlo.
C’è poi un altro aspetto: il carico di responsabilità non è facile da gestire, ecco perché non è un caso che molti manager, come suggerisce il Work Trend Index di Microsoft di qualche anno fa, cadano in burnout, vale a dire si “esauriscono”, fisicamente e mentalmente. Ovviamente, ogni lavoratore rischia di incorrere in una situazione simile, ma quando si tratta di manager, questo a cascata ricade sulle persone che gestisce e può creare una situazione molto stressante che può portare tanti lavoratori e lavoratrici ad abbandonare il lavoro.
Per questo è fondamentale capire, magari avvalendosi del business coaching, quali sono le motivazioni che spingono le persone a diventare manager, quali obiettivi vorrebbero raggiungere e come migliorare i rapporti che si instaurano tra i lavoratori e i team leader.
Un/a coach può aiutare la persona a capire se diventare manager è davvero ciò che vuole e non ciò che la gente si aspetta da lui/lei. Così come può aiutare a focalizzare qual è il desiderio attuale e come possa essere cambiato rispetto al passato. Magari il/la professionista ha sempre desiderato essere a capo di una divisione o di un team, ma al momento non si sente pront*. Comprendere le vere motivazioni è fondamentale così come aiutare il professionista a capire il tipo di leadership da adottare, come impostare il lavoro e così via.
Spesso, infatti, i motivi per cui si accetta la transizione sono “oggettivi” e facilmente condivisibili dalla società o dalle altre persone in azienda. Diventare manager vuol dire avere una RAL notevolmente più consistente, determinati benefit, un maggiore prestigio, più autorevolezza e un ruolo “invidiabile”.
Ma se il salto di carriera in tale direzione può sembrare la cosa più desiderabile per molti, non per tutti prestigio e stipendio sono così determinanti. Ovviamente contano, ma ci sono persone che nel diventare manager aspirano a dare una direzione all’azienda, a poterla portare verso determinati obiettivi, a lasciare la loro impronta. Se, quindi, le motivazioni non sono solo economiche, è importante che chi sta per fare il salto di carriera possa capire quale potere decisionale potrà avere e come incarnare al meglio il proprio ruolo.
Un percorso di coaching dovrebbe andare di pari passo con un percorso di carriera e preparare la persona a tutto quello che potrà incontrare nel processo di passaggio.
Le sfide
La transizione non è priva di ostacoli. Tra le sfide da affrontare ci sono sicuramente l’adattamento a nuove responsabilità, lo sviluppo di competenze manageriali specifiche e la gestione del cambiamento nella propria identità professionale.
- Adattamento a nuove responsabilità
Andando nel dettaglio, l’adattamento a nuove responsabilità è una sfida non da poco: mentre i professionisti sono abituati a concentrarsi su compiti tecnici specifici, i manager devono gestire tante responsabilità, tra cui la supervisione dei dipendenti, la gestione delle risorse e la pianificazione strategica. Tale passaggio può essere particolarmente difficile per chi è abituato a lavorare in modo diverso e a rispondere a sé stesso o al massimo al proprio responsabile, ma non viceversa.
- Sviluppare competenze manageriali
Una sfida altrettanto importante è quella di sviluppare competenze manageriali specifiche, come la leadership, la capacità di delegare, la gestione dei conflitti e la comunicazione efficace. È altrettanto importante la pianificazione strategica e la gestione delle risorse. Per questo è spesso necessario un periodo di formazione e mentoring per acquisire tali skill.
- Cambiamento dell’identità professionale
La gestione del cambiamento della propria identità professionale è molto più significativa di quanto si creda. Molti professionisti si identificano in ciò che fanno e nelle competenze tecniche che mettono in campo nel loro lavoro ed è per questo che il passaggio a un ruolo di maggiore responsabilità, ma meno operativo, potrebbe metterle in crisi. Anche qui, oltre a programmi di mentoring e di formazione specifici, torna in auge il coaching.
Il contesto italiano e le difficoltà per le donne
Last but not least, c’è da considerare il contesto nazionale in cui i e le manager si trovano a lavorare. Il tessuto imprenditoriale in Italia è formato per lo più da PMI che offrono un ambiente più familiare e flessibile, ma nel quale, a volte, è difficile riuscire a gestire le risorse come si vorrebbe. Di contro, le grandi multinazionali tendono ad avere strutture più formali con processi ben definiti che possono aiutare da un lato, ma anche tarpare un po’ le ali.
Senza dimenticare, che nel caso di manager donne, la fatica nell’avanzare in termini di carriera aumenta quando si diventa madre. Sebbene la società stia facendo enormi passi avanti, la grande sfida per una manager è quella di riuscire ad avere un proprio stile di leadership e a portarlo avanti, senza dover dimostrare di essere in grado di essere una donna, una madre e una manager, ma semplicemente potendo svolgere il proprio lavoro al meglio. E, mettendo a disposizione quelle skill che, come hanno ricordato gli autori Zezza e Vitullo nel libro “Maternity as a master”, si imparano grazie alla maternità e che hanno a che fare con la capacità di gestione, di negoziazione e tanto altro.
Articolo a cura di Cristina Maccarrone per Speexx, piattaforma digitale e di innovative soluzioni blended, per l’apprendimento linguistico e il business coaching.