Il disability management si sta affermando come una leva strategica per chi si occupa di risorse umane. In un contesto in cui equity, diversity e inclusion non sono più opzioni, ma elementi chiave della cultura aziendale, la presenza della disabilità nel contesto lavorativo implica lo scardinare bias, superare barriere invisibili e generare valore. L’adempimento degli obblighi normativi è una chiave di lettura obsoleta, per contribuire serve un cambiamento strutturale e culturale.
È, infatti, ciò che è emerso in un recente appuntamento tra alcuni professionisti HR della Community in HRC Square. Quella della necessità del disability management è una consapevolezza trasversale e diffusa: non è più il tempo delle iniziative spot, l’approccio dev’essere sistemico, guidato da competenze specifiche e alimentato da una cultura aziendale matura, ma soprattutto dev’essere orientato alla decostruzione dell’abilismo.
La realtà italiana
Secondo Istat, una persona su cinque in Italia vive una condizione di disabilità. Una percentuale che raggiunge il 22% se si considera anche l’invecchiamento della popolazione e le disabilità invisibili, spesso non dichiarate. È stata condivisa un’immagine particolarmente impattante, secondo cui il mondo della disabilità rappresenterebbe, per popolazione, la terza “nazione” più grande al mondo, dopo Cina e India. Eppure, solo il 33,5% delle persone con disabilità risulta occupato, e appena il 15,6% accede a ruoli apicali.
La distanza tra obbligo normativo (legge 68/99) e cultura organizzativa è ancora ampia. È necessario superare la logica della compliance, per approdare a un’autentica cultura inclusiva. Le barriere più insidiose, infatti, non sono fisiche, ma culturali: ignoranza, paura e pregiudizio sono ancora oggi gli ostacoli più duri da abbattere.
Il ruolo del Disability Manager
L’introduzione del disability manager è uno snodo cruciale. Non si tratta di un esperto “tecnico” della tematica, ma di un facilitatore trasversale. Il suo compito è creare connessioni tra esigenze aziendali e bisogni individuali, accompagnando i percorsi e rendendo possibili soluzioni di autonomia e inclusione. È una funzione che va oltre l’assistenzialismo, orientandosi invece alla costruzione di equità.
Il ruolo è stato definito anche come trasformativo e culturale: non solo conoscere ogni dettaglio tecnico delle diverse disabilità, ma essere agenti del cambiamento, in grado di promuovere ambienti abilitanti e non semplicemente accessibili. Un esempio concreto in tal senso è la digitalizzazione dei processi, che può trasformare l’organizzazione migliorandola per tutti. Automatizzare e semplificare procedure complesse, adottare strumenti accessibili come screen reader, sottotitoli nei video o interfacce intuitive non solo agevola l’esperienza delle persone con disabilità, ma incrementa l’efficienza operativa generale, riducendo errori e tempi di gestione per l’intera popolazione aziendale.
Disability Confidence
Il concetto di disability confidence ribalta la prospettiva: non più solo inclusione, ma riconoscimento delle competenze di ogni persona e valorizzarle in chiave di performance. Le aziende più mature non si limitano a rispettare la legge, ma investono nella formazione dei manager, rivedono i processi di selezione e adottano policy realmente inclusive. Come riportato da un articolo sul tema, “Disability confidence significa far diventare la disabilità un valore per l’azienda”.
Durante l’appuntamento è stato messo in rilievo anche il ruolo del linguaggio e della formazione continua. Lavorare sulla consapevolezza è il primo passo per cambiare la cultura aziendale, il passo successivo è rendere questi cambiamenti strutturali: nei sistemi di valutazione, nei percorsi di carriera, nella progettazione degli spazi e delle tecnologie.
Da iniziativa a sistema
È stato presentato un esempio virtuoso di programma dedicato all’inclusione delle persone con disabilità, integrato all’interno di un piano di sostenibilità aziendale. Il progetto sposta il focus dalla disabilità all’abilità, mirando a intercettare talenti spesso invisibili e coinvolgendo anche caregiver e manager, per generare un impatto culturale e organizzativo duraturo.
La chiave è superare la logica dell’eccezionalità e rendere strutturale la convivenza delle differenze. Ogni policy, ogni procedura, ogni formazione dovrebbe partire da una domanda: chi stiamo lasciando indietro?
Il disability management non può essere relegato ai margini delle strategie HR, è una leva concreta per trasformare la cultura aziendale, attrarre talenti e generare innovazione. Le aziende che scelgono di agire oggi, non solo anticipano le normative future, ma costruiscono ambienti di lavoro più giusti e, di fatto più umani.
Vuoi approfondire le best practice condivise? Questo articolo nasce dalle preziose testimonianze di aziende leader come Gruppo Iren, Unipol, Terna e Humee by T Seed che hanno raccontato le loro esperienze in un recente appuntamento in HRC Square con la Community Equity, Diversity & Inclusion.
Riascolta i loro interventi completi, accedendo alla piattaforma MyHRGoal per guardarli in streaming.