Ci sono decisioni aziendali che nessun HR vorrebbe mai prendere, ma che fanno parte della vita di ogni organizzazione: gestire gli esuberi. La differenza, oggi, sta nel come farlo. Non più (solo) come una misura di riduzione dei costi, ma come un processo di responsabilità e visione, che può — se gestito con lungimiranza — salvaguardare competenze, persone e cultura aziendale.
Durante un recente appuntamento della Community Labour di HRC che si è svolto in presenza presso la sede di Norton Rose Fulbright a Milano, espertə e professionistə HR si sono confrontatə su come la mobilità orizzontale stia diventando una delle risposte più intelligenti e sostenibili per affrontare i momenti di ridisegno organizzativo.
Un approccio che si fonda su una semplice ma potente idea: prima di uscire dall’azienda, una persona dovrebbe poter essere ricollocata internamente, esplorando ruoli diversi ma coerenti con le proprie competenze e potenzialità. Con la riforma del Jobs Act e la modifica dell’art. 2103 del Codice Civile, è cambiato il concetto stesso di “mansioni equivalenti”: oggi le aziende hanno maggiore libertà nel riposizionare le persone in ruoli differenti, a patto che ciò avvenga con criteri di correttezza, proporzionalità e trasparenza. Questo rende più complesso dichiarare un esubero, ma anche più responsabile e strategica la gestione del capitale umano.
La sfida, tuttavia, non è solo giuridica. È culturale. Per rendere effettiva la mobilità orizzontale serve lavorare in anticipo sulle competenze, attraverso piani di sviluppo individuale e percorsi di upskilling mirati. Alcune aziende, ad esempio, hanno avviato programmi di Internal Talent Marketplace: piattaforme interne che mappano skill, esperienze e aspirazioni dei dipendenti per facilitarne la ricollocazione in ruoli aperti o in nuovi progetti cross-funzionali. In altri casi, si sperimenta un approccio più sartoriale, con team dedicati alla job rotation per favorire la crescita laterale dei talenti e mitigare il rischio di esuberi nelle aree in riduzione.
Un caso emblematico riguarda la gestione di ruoli tecnici soggetti a forte automazione: dove alcune mansioni stanno scomparendo, l’azienda ha scelto di investire in percorsi di reskilling verso funzioni digitali o di project management, anticipando gli impatti dell’AI e trasformando un potenziale problema in un’opportunità di evoluzione interna.
Un’altra esperienza virtuosa è quella di chi ha introdotto percorsi di mobilità tra funzioni corporate e di business, per offrire nuove prospettive di crescita a profili con elevate performance ma limitate opportunità verticali. In questo senso, la formazione non è più solo uno strumento di crescita verticale, ma una leva per garantire occupabilità interna e sostenibilità organizzativa. Un investimento che previene l’obsolescenza delle competenze — oggi accelerata anche dall’uso crescente dell’Intelligenza Artificiale — e rafforza la resilienza delle imprese nei momenti di crisi o ristrutturazione.
Gestire gli esuberi, quindi, non significa soltanto ridurre. Significa riorganizzare con intelligenza, preservare il talento e accompagnare le persone nel cambiamento, senza disperdere il valore costruito nel tempo. E forse proprio qui si misura la vera maturità di un’organizzazione: nella capacità di unire rispetto per le persone e visione strategica del futuro.
Questo articolo nasce dalle preziose testimonianze di aziende leader come Nexi Group, Snam, Gruppo Hera e Norton Rose Fulbright che hanno raccontato le loro esperienze in un recente appuntamento in HRC Square con la Community Labour.
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