C’è un fenomeno (paradossale) che accomuna i diversi sistemi di welfare in giro per il mondo, compreso il nostro: il “non-take-up” delle misure previste a livello pubblico per offrire risposte ai bisogni sociali dei cittadini. Si tratta di una dinamica consistente nel fatto che una rilevante quota dei soggetti aventi i requisiti per ottenere i sostegni offerti dal Welfare Pubblico non li richiede o rinuncia ad acquisirli. La misurazione di questo fenomeno è espressa dal rapporto tra il numero dei beneficiari che accedono alle diverse misure pubbliche e il numero complessivo dei soggetti eligibili per quella stessa misura. La percentuale data da questo rapporto è espressione del Welfare Pubblico “non riscosso” ed è molto elevata: si tratta, quindi, di un’evidente criticità sociale.
Italia: il Paese dei bonus. Ma quanti li conoscono?
Tanto per fare un esempio e calarci nel nostro contesto nazionale, è bene sapere che una consistente quota della popolazione italiana non è a conoscenza dell’esistenza degli ormai numerosissimi bonus che contribuiscono a sostenere il reddito individuale e familiare. Tale condizione, poi, si riferisce a cluster che sono diventati sempre più ampi (sia per l’assenza di requisiti di carattere economico-patrimoniale – che per molte misure non sono previsti – sia per l’innalzamento delle soglie ISEE che consentono di richiedere le singole misure laddove queste siano “agganciate” a tale parametro). Il Report Plus 2022 dell’INAPP ci dice che il 23% degli italiani neppure è a conoscenza dell’esistenza di talune misure di sostegno, mentre il 14% è addirittura convinto che esse non esistano. Si tratta, quindi, di almeno il 37% della popolazione. Questa situazione, di per sé sconfortante, non è neppure in miglioramento rispetto al passato perchè ben poco è cambiato rispetto a quanto era emerso nel 2015 in uno studio di Eurofound (“Access to social benefits: reducing non-take-up”) nel quale si indicava, come media prudenziale del fenomeno (analizzato in dieci nazioni UE, tra le quali l’Italia), una percentuale del 40%. Dietro a queste percentuali sono in gioco importi economici significativi rispetto al budget annuale personale e/o familiare di un lavoratore: perderli “per strada” provoca un evidente impatto negativo per i (mancati) beneficiari.
Le ragioni di una situazione irragionevole
Lo Stato e gli Enti Locali (Regioni e Comuni) mettono a disposizione dei cittadini numerose misure – per lo più di carattere monetario – che riguardano àmbiti d’intervento come la famiglia, lo studio dei figli, la salute, la non autosufficienza, la casa, la mobilità e persino lo svago (e come si noterà si tratta delle medesime aree di intervento sulle quali si concentrano anche i piani di Welfare Aziendale).
Tuttavia, queste misure non sono acquisite da tutti coloro che avrebbero titolo ad accedervi. Quali sono le cause che spiegano questo fenomeno? Seguendo le analisi disponibili possono essere identificati alcuni principali fattori che spiegano il non-take-up:
- la non conoscenza dell’esistenza della misura;
- il bias cognitivo che fa ritenere al potenziale beneficiario di non essere eligibile sul presupposto (errato) che la sua condizione economica non sia allineata ai requisiti richiesti (caso tipico è quello dei lavoratori dipendenti);
- la complessità delle procedure burocratiche aggravate dalle difficoltà di “navigazione” dei portali web degli enti pubblici erogatori delle misure.
Welfare Aziendale: integrativo o integrato?
Fatte queste premesse possiamo ora fare riferimento ad una delle questioni da sempre dibattute in ambito welfaristico: quella della possibile integrazione delle misure di carattere privato (aziendale e contrattuale) con quelle di natura pubblica al fine di realizzare una sinergia tra due “mondi” tradizionalmente ben poco collegati tra loro, nonostante abbiano entrambi i medesimi obiettivi rispetto all’articolazione delle risposte capaci di far fronte ai più rilevanti bisogni individuali e familiari.
Il Welfare Aziendale, inteso come di per sé “integrativo” di quello pubblico, esprime interventi che si affiancano, ma che certamente non si sostituiscono a quelli di matrice pubblica (nazionale o locale che sia); viceversa il Welfare Aziendale “integrato”, ossia quello strettamente coordinato con il Welfare Pubblico, si sostanzia in interventi che, pur avendo e conservando natura occupazionale e privatistica, risultano più sinergici con quelli pubblici, in un quadro di più efficace “messa a sistema” del rapporto tra Welfare Aziendale e Welfare State, a tutto vantaggio dei lavoratori che ne beneficiano.
Fringe e Flexible Benefit non bastano
Ci stiamo avvicinando alla questione che più dovrebbe interessare le imprese e i loro dipendenti: oltre ai Fringe e ai Flexible Benefit nei quali tradizionalmente si sostanzia la maggior parte dei piani di Welfare Aziendale, esiste una terza categoria di benefit che, pur non essendo erogati dalle aziende, può (dovrebbe) far parte del total reward associato alle iniziative messe in atto dalle imprese. Questa tipologia di benefit in media, secondo le stime (l’ultima è una survey di quest’anno su un campione di 33mila lavoratori registrati alla piattaforma di Bonoos), vale circa 1.000/1.200 euro all’anno per singolo beneficiario: un valore capace, da solo, di raddoppiare quello medio dei piani Welfare Aziendale (attestatosi, nel 2024, su circa 1.000 euro pro capite, come ci indicano i report stilati dai principali Provider attivi in Italia).
La “terza categoria” cui ci stiamo riferendo è quella dei cd. Public Benefit, terminologia ormai invalsa per identificare i numerosi bonus messi a disposizione dallo Stato, dalle Regioni e dai Comuni (i più noti a livello nazionale sono: il bonus asilo nido, il bonus trasporti, il bonus psicologo, la carta della cultura e del merito, ma ce ne sono moltissimi altri).
Queste misure pubbliche, in Italia, sono ormai diverse centinaia e nella maggior parte dei casi si riferiscono ad erogazioni cash destinate a platee molto ampie di beneficiari e soprattutto ad ambiti di intervento del tutto coerenti con quelli del Welfare Aziendale.
Si dirà: ma le lavoratrici e i lavoratori interessati a queste misure saranno al corrente di simili opportunità, dunque perché farne una “leva” del Welfare Aziendale? La risposta è presto detta: perché è vero l’esatto contrario.
Se ripensiamo alle impietose percentuali di non conoscenza e di non-take-up delle misure che abbiamo poc’anzi citato ci possiamo rendere conto del fatto che, per i lavoratori e le loro famiglie, fa una grande differenza (anzitutto economica) essere, da un lato, informati circa le opportunità di sostegno pubblico cui potrebbero avere diritto e dall’altro poter ricevere un supporto esperto per affrontare le procedure che impediscono un agevole accesso ai bonus.
Includere il superamento di questo doppio gap (conoscitivo e pratico) inserendolo tra le misure di Welfare Aziendale comprova non solo un intento socialmente (e realmente) meritorio da parte delle imprese, ma soprattutto pone le aziende nella condizione di accrescere il valore complessivo del “pacchetto welfare”. Con un vantaggio di non secondaria rilevanza: il valore economico generato Public Benefit non presuppone la necessità di nuovi investimenti da dedicare al capitolo del welfare in azienda.
Una nuova frontiera per il Welfare Aziendale
Da qualche anno, oltre ai Provider di Welfare Aziendale ed alle loro ben note piattaforme, sono disponibili soluzioni specifiche messe a punto da player specializzati che sfruttando l’evoluzione tecnologica rendono possibile la cd. Welfare Integration, vera e propria nuova frontiera del Welfare Aziendale più evoluto.
I datori di lavoro hanno finalmente a disposizione soluzioni operative per accrescere il valore dei propri piani di Welfare Aziendale grazie all’apporto economico generato dai Public Benefit e queste soluzioni si stanno diffondendo sempre di più, tant’è che si sta affermando anche un vero e proprio nuovo segmento di mercato: quello dei Welfare Integration Partner che sta dando segnali di grande dinamismo grazie alla crescita del numero delle aziende che includono nei loro programmi di welfare anche questo tipo di offerta operativa ed anche perchè le piattaforme dei principali Provider sono ormai collegate a quelle dei Welfare Integration Partner rendendo, così, facilmente disponibili i Public Benefit direttamente dai portali di gestione del Welfare Aziendale.
Articolo a cura di Giovanni Scansani.